Ho trascorso qualche giorno di questa estate camminando tra le montagne del Cadore. Con la famiglia ho visitato un paio di musei ideati e curati da Reinhold Messner. Qualche anno fa ho avuto modo di leggere “La mia vita al limite“, la sua autobiografia. Avevo portato le mie figlie in bibblioteca per una iniziativa per bambini e mentre aspettavo ho dato una occhiata tra gli scaffali. Fin dalle prime pagine mi ha entusiasmato e ho dovuto portarmelo a casa per finirlo. Il personaggio é estremamente interessante anche se il suo comportamento spesso é poco condivisibile. Il tema mi affascina perchè si parla di montagne, natura e avventure reali, ma non mi sento a mio agio attaccato alla roccia su uno strapiombo.

La valle del Boite, visto dal Monte Rite dove si trova uno dei 6 Messner Mountain Museum.

Il fatto é che Messner é capace di proporre al lettore temi che nascono dalla sua indole e dalla sua attività, ma sono profondi e generali. Spesso le stesse domande che lui si pone si possono applicare in altri campi. I suoi ragionamenti si possono riproporre anche in certi aspetti della nostre vite, sicuramente meno pericolose.
In diversi punti dei musei si citava uno storico articolo che scrisse per la rivista del CAI nell’ottobre 1968 (notare il periodo, sicuramente ha influito nell’accoglienza riservata alle sue idee). L’articolo aveva il titolo “L’assassinio dell’impossibile”. E’ riportato qui:
https://gognablog.sherpa-gate.com/lassasinio-dellimpossibile/

Nell’articolo Messner poneva il problema dell’innovazione tecnologica, in particolare dei chiodi ad espansione che si era iniziato ad utilizzare in arrampicata. Con questi strumenti qualunque via diventava percorribile. Le vie “direttissime” diventarono di moda e relativamente sicure e facili. Si raggingevano le cime per la via più breve. L’impossibile diventava possibile. Ritirarsi da una impresa non era più una opzione plausibile e frequente ma diventava una vergogna da evitare.

Leggendo queste parole sentivo che entravano in risonanza con altre riflessioni che avevo fatto a riguardo di una attività a me più vicina: la corsa. Da qualche anno ci sono in commercio delle “superscarpe” con solette in fibra di carbonio che danno un grosso aiuto nella corsa. Assieme ad integratori, gel, allenamenti in altura, probabilmente é l’unico aiuto esterno permesso agli atleti. Vorrei lasciare fuori da questa argomentazione sostanze e pratiche dopanti o anche solamente molto discusse (camera iperbarica, caffeina …).

Queste scarpe, morbide e rimbalzanti ci permetteranno di migliorare i nostri tempi e diminuire i rischi di infortuni da sovraccarico. Bene. Non rischierò di dover rinunciare alla maratona perchè nell’ultimo lungo ho esagerato e ho avuto una contrattura, potrò bilanciare meglio i giorni di carico e di recupero e sarò pronto per battere il mio personale, nonostate l’età che avanza.
Bene. Bello. Facile.

Forse perderemo un po’ di ripetto verso la maratona, che punisce sempre chi osa troppo. Il limite tra quello che posso fare senza farmi male o sfiancarmi e quello che non posso fare sarà spostato un po’ più in là. Si perderà un po’ del fascino dell’impresa e mi chiederò quanto vale quel tempo con scarpe tradizionali.

Questo ragionamento per la corsa é molto attenuato rispetto all’arrampicata. Le maratone nel mondo sono già super affollate e le prestazioni medie degli amatori sono costantemente in calo. Quindi una innovazione tecnologica non stravolge la situazione attuale. Dopo i dubbi e la sorpresa del primo giorno, non si sentono più voci scandalizzate.

La mia idea personale é che si può brontolare fin che si vuole ma non si può fermare l’evoluzione delle cose (che sia progresso o regresso). Bisogna cercare di trovare il giusto compromesso tra quello che si vuole ottenere e le modalità con cui ottenerlo. Bilanciare il rischio e la gratificazione.

P.S.: non ho ancora provato le scarpe con la piastra in carbonio, per il semplice motivo che le mie performance non sono all’altezza del loro prezzo, ma sono curioso e penso che prima o poi le comprerò.

Di admin

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