Con una sagacia tattica di cui mia moglie va giustamente fiera (è lei la navigatrice quando siamo in viaggio), dribbliamo le code della transumanza balneare del primo maggio. Arriviamo a Trieste nel tardo pomeriggio, dopo aver visitato brevemente località non proprio originali: Aquileia e Grado.

Ci siamo gustati la strada costiera, quella che farò il giorno dopo a piedi. Gran panorama, pendenza a tratti decisa. Il fatto di vedere il porto e la zona d’arrivo quando ancora mancano 15 km non aiuterà di certo. Ci sistemiamo al B&B. Sapevamo che era al quarto piano (senza ascensore). La sorpresa era che nel vecchio palazzo in cui eravamo, i piani avevano una altezza asburgica. Un sogno per qualsiasi arredatore Ikea, che riuscirebbe a far vivere una famiglia dentro un ripostiglio con qualche soppalco. Dopo essere salito e sceso per tre volte con bambina, valige e lettino avevo i quadricipiti abbastanza affaticati. Niente paura, basta riposare bene e recuperare le energie con un po’ di pasta a cena. Appunto. Peccato che poi sia andata diversamente …

Ci fiondiamo al porto all’Expo, dove gli altri compagni di viaggio si iscrivono alla non competitiva. Con l’iscrizione si ha diritto ad un buono per il pasta-party. Il mio, invece, vale solo domani. Riesco comunque ad approfittare di un piatto, scartato da un’amica che non aveva fame. L’ho dovuto contendere a mia figlia (20 mesi). S’è fatto più tardi del previsto, tuttavia, visto che ci sono amici per i quali questa uscita non aveva scopi sportivi, non mi sembrava il caso di rinunciare a cenare in una birreria/macelleria appena oltre il confine.

Doveva essere un localino tipico, invece, visti i prezzi e la clientela, da subito mi è parso uno spennatoio di turisti italiani. Mentre i miei amici affondano coltelli e forchette sulla grigliata mista, io seziono diligentemente il mio tacchino ai ferri con un po’ di invidia. La carne alla griglia è il mio piatto preferito, a pari merito con un’altra 50ina. Avevo ancora fame. Quando ho visto un salsicciotto arrotolato come un ricordino canino chiedo perchè nessuno se lo mangi. “E’ piccante” mi dicono. Nessun problema, basta mangiarlo con del pane.

L’unica cosa positiva di questo breve sconfinamento è che passando per Basovizza ho potuto vedere dov’è situato il centro di ricerca e il sincrotrone. Dai tempi ormai lontani degli studi mi chiedevo come fossero riusciti a posizionare un centro del genere in un territorio stretto contro il mare. Fino almeno alle 2:30 di notte il salsicciotto mi ha tenuto sveglio.

Mi son svegliato tre minuti prima della sveglia. Tre ore di sonno dopo una giornata di lunghe passeggiate non sono proprio l’ideale prima di una maratona. Questo è il momento in cui si può decidere se lamentarsi, recriminare per gli errori fatti e la sfortuna oppure se dimenticare tutto a cominciare un’avventura cercando di dare il meglio di se stessi. Scelgo senza dubbio la seconda. Esco con lo zaino e un pacchetto di biscotti Plasmon che ho rubato alla bambina. Mattina grigia, come da previsioni. Bene. Trovo facilmente la stazione dei treni e il bar al suo interno. Nel bagno della stazione non tutti i senzatetto si radono. Alcuni si pettinano la barba folta e riccia con appositi pettinini. Anche da questo si vede che è una città di confine. Arrivo a Gradisca col primo bus. Bel paesotto, a quell’ora praticamente deserto. Gli iscritti sono circa 700. Con queste dimensioni la partenza è molto meno complicata. Bello partire davanti e vedere a 2-3 metri gli africani, il Tarvisiano Plesnikar, terzo solo una settimana fa a Padova e alcuni giovani da 2h30′. Partiamo.

Si fa un percorso ad anello attorno al parco della città, vi si entra attraverso le mura per un ponte di legno. Per un km e mezzo giriamo come criceti e sembra di tornare sempre al punto di partenza, poi si prende la via per Sagrado. La strada è per lo più in discesa, invita a ritmi elevati. Nei primi 5 km c’è un cavalcavia abbastanza ripido e la salita per il sacrario di Redipuglia, piuttosto importante. Tengo il gruppo del pacer delle 3h15′ a 10 metri. Mi sembra che vadano un pelino troppo forte per me. Il mio obiettivo è tenere sotto controllo la frequenza cardiaca. In questo, devo dire, mi sto comportando piuttosto diligentemente. Passano altri dieci km di attesa, tutto è sotto controllo. Per fortuna non c’è il sole. Se devo trovare un difetto nelle condizioni atmosferiche, direi che è il vento l’ostacolo maggiore. A tratti sollievo rinfrescante, qualche volta freno fastidioso. Tra le cose apprezzabili di queste “piccole” maratone è che al mio passaggio il pubblico non si è ancora stufato di applaudire ed incoraggiare. Dopo il 15esimo km faccio gruppetto con un ragazzo del G.S. Aquileia e uno del Venice Marathon  Club. Per diversi km con quest’ultimo siamo stati al traino uno dell’altro. Al 18esimo comincia la salita, e il gruppetto si allunga. L’amico veneziano molla definitivamente. Io perdo terreno dall’amico di Aquileia, pur tenendolo a portata. Il mio scopo è risparmiare energia in salita. Vietato lasciarsi andare.

Il primo strappo è la salita per Duino. 2 km al 2% con uno strappo a metà di 200 metri al 4%. A Duino si riprende fiato, ci si immette nel percorso della mezza maratona. Nei miei programmi è ammesso accelerare solo negli ultimi due km di salita. Recupero in questo modo qualche posizione. Comincio a trovare i concorrenti più lenti della mezza maratona. Il fatto di dover scegliere la traiettoria anche in funzione loro oltre alla strada è un fastidio più psicologico che cronometrico. Massimo rispetto, comunque. Sui loro volti c’è fatica, come nel mio. La discesa non è così facile come speravo. Aumentare la velocità significa comunque spendere molto, oltre al fatto che l’impatto dei piedi nel terreno si ripercuote in modo doloroso sui quadricipiti. Non credo siano le gradinate del giorno prima a farsi sentire, quanto piuttosto la scarsa abitudine ad affrontare salite e discese. Recupero e distanzio l’amico di Aquileia.

Arrivo a Miramare, mancano 7 km. Faccio due conti e penso che se faccio al massimo 5’/Km arrivo in 3h15′. Il percorso è sempre più affollato. A volte devo chiedere strada. Faccio 4’40”, 4’44”, 4’53”. Perfetto, sto dentro i 5′! Passato il 38esimo, però, finisce la benzina. Vuoto assoluto. Le gambe non ne vogliono sapere. Un lengero giramento di testa e senso di debolezza. Non mi è mai capitato prima, forse è dovuto in parte anche al dislivello, ma credo che il motivo principale sia l’aver finito completamente la benzina. Non son mai svenuto in vita mia, spero non sia questa la prima volta. Mi ritrovo a camminare quasi senza volerlo quando arriva il cartello dei 39. Capisco di aver mollato, e psicologicamente è una brutta botta. Con due maratone ravvicinate è più difficile stringere i denti e avere la forza di restare concentrato. Qualcuno mi incoraggia. Dopo 300m di camminata riprendo per 100m ma cedo e continuo a camminare per altri 200. Riprendo a correre, il peggio sembra passato, faccio più di un km e arrivo al rifornimento dove prendo un po’ di frutta e dei sali. Mi danno un enorme sollievo, mi sembra di rinascere. Ormai non vedo l’ora di finirla, però. Il rifornimento dura molto. Troppo. Ben 500m al passo. Mi sono utili però per riprendermi e affrontare gli aultimi 2 km a buon ritmo con la forza di volontà. Probabilmente la glicemia è tornata nei limiti. All’arrivo in Piazza Unità d’Italia c’è un clima fantastico, è in corso la premiazione delle donne. La colonna sonora è veramente motivante. Allungo negli ultimi 500m che copro in 2′, sempre in crescendo, arrivando a toccare 3’40″/Km. Le gambe c’erano, mancava proprio la benzina.

Un po’ mi dispiace di aver interrotto la serie positiva di PB. Questo percorso, però, era decisamente impegnativo. E’ stata una bella esperienza. La mia prima “piccola” maratona. La maratona non è l’evento della giornata, lo si capisce all’arrivo, quando devo contendere il rifornimento (distribuito solamente su due tavolini) con coloro che han corso la mezza e la non competitiva, decisamente più freschi nell’arraffare acqua, frutta e biscotti. Questo mi sembra l’unica pecca dell’organizzazione. Lo scarso piatto di pasta lascia ancora dello spazio per un panino con la mortadella e più tardi un kebab. La Bavisela è la festa di tutta la città. Chi ha fatto la maratona è parte della festa non il protagonista. Questo l’ho capito solo più tardi dopo la doccia, scacciando le prime perplessità sull’organizzazione.

Lesson #1: sono più soddisfatto oggi che (correndo con cervello) non ho migliorato il mio personale che un mese fa quando l’ho battuto di ben 5 minuti correndo in modo scriteriato. L’ebbrezza della velocità nei primi km è un piacere che si paga sia durante la seconda parte di gara che nel ricordo della prestazione che si avrà nei giorni successivi. Mai più, quindi, eccessi di ottimismo.
Lesson #2: l’illusione di migliorare costantemente gara dopo gara non può proseguire all’infinito. Per aspirare a scendere sotto le 3h10′ devo fare un salto di qualità. Prima di tutto devo cominciare a fare i lunghi. Non c’è scampo, è una condizione necessaria per far bene.

Nel grafico c’è il confronto tra passo e frequenza cardiaca di Treviso e Trieste. Le differenze sono evidenti.

Di Abro

2 pensiero su “Bavisela 2010”
  1. bel resoconto e’ sempre un piacere leggerti.

    mi sa che speciani non approverebbe la cena nel locale tipico sloveno, ripensando al suo video trovato su internet.

    da alcuni giorni mi sono appassionato a leggere questo forum:

    http://www.runningforum.it/index.php

    tra i vari argomenti ho notato questo:

    http://www.runningforum.it/viewtopic.php?f=21&t=310&start=10&hilit=avis

    ed in particolare un link al sito di albanesi:

    http://www.albanesi.it/Medsport/donazione.htm

    a me spiace che scriva qualcosa di negativo sulla donazione di sangue. ma fa riflettere il tempo di pieno recupero da una donazione di 410 cc. se non ricordo male poco tempo fa hai fatto una donazione. forse troppo vicina alla maratona?

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