Francamente comincio a pensare che negli Usa gli allenatori di corsa su lunghe distanze li preparino in seminario. Leggendo la presentazione dei Top Runner alla maratona di Sant’Antonio (guarda caso …), tra i soliti keniani e keniane, tra l’italiano di turno che catalizza le speranze (Giovanni Gualdi, crossista, in questa occasione) spunta la statunitense Ilsa Paulson campione nazionale di Maratona nel 2009, che a soli 21 anni ha un personale di 2h31’49”. Lei spiega che ha lasciato il college dopo un anno e mezzo e si è messa a correre perchè “Dio mi disse di venire alle prese con i miei punti deboli e abbracciare il dono della corsa”. Dice di affrontare la corsa “con la serenità e la calma che nasce dalla sensazione che qualunque sia il risultato, è la volontà di Dio a volerlo”. Se poi si pensa ai due più forti maratoneti statunitensi Hall e Keflezighi, dai quali non si riesce a leggere un’intervista in cui i commenti tecnici non siano alternati a “volontà di Dio” e “pregate perchè sia una giornata serena e felice per tutti”, vien da chiedersi quale sia la presenza religiosa ai Mammoth lakes, l’altopiano californiano (2400m) in cui si allenano i maratoneti.

Una volta, prima degli africani, si diceva che i fondisti dovevano nascere poveri, avere fame, portarsi dietro sofferenze, solo così potevano avere una forte determinazione. Ora sembra arrivare una ventata mistica. Il corridore non africano deve essere sospinto dalla fede e avere una pace interiore.

Può fare tenerezza sentire l’ingenuità e la serenità d’animo di questi atleti molto religiosi. Senz’altro la preferisco alla spavalderia di Usain Bolt, però mi fanno un po’ pena, mi sembrano ragazzi che hanno perso il controllo di loro stessi, che non sanno che il futuro è in mano loro.

Di Abro

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